La vicenda di Giulia (nome di fantasia), una sposa bambina italiana coinvolta in una storia di abusi, gravidanze precoci e sfruttamento da parte del clan Di Silvio a Latina, è emersa dalle indagini giudiziarie e dagli articoli di cronaca. A soli 12 anni, Giulia è stata costretta a sposare con un rito sinti non riconosciuto legalmente il figlio diciassettenne del clan, rimanendo incinta a seguito di rapporti sessuali iniziati quando era ancora dodicenne. La sua giovane vita è stata segnata da due aborti, avvenuti nel 2021 a 22 e 13 settimane di gravidanza, e da pressioni per una nuova concezione nonostante i rischi medici. Nel 2023, a soli 14 anni, ha dato alla luce una figlia. La sua storia è stata scoperta durante un’indagine antidroga dei carabinieri, che hanno documentato il suo sfruttamento nello spaccio e gli abusi sessuali subiti.
I coniugi Di Silvio, Ferdinando “Gianni” e Laura “Puccia”, insieme ad altri membri del clan, sono stati arrestati il 4 febbraio 2025 con accuse di traffico di droga, violenza sessuale e sfruttamento di minore. Anche i genitori di Giulia sono indagati per complicità. Il giudice ha definito “inconcepibili e non giustificati” i costumi della famiglia, sottolineando la loro incompatibilità con il sistema giuridico italiano.
Questa vicenda ha suscitato sgomento proprio perché accaduta in Italia, un Paese con leggi avanzate sulla protezione dei minori. In Italia, l’età del consenso è di 14 anni e qualsiasi rapporto sessuale con minori di questa età è reato di violenza sessuale, anche se “consenziente”. Il matrimonio sotto i 16 anni è vietato, rendendo il rito sinti un mero atto simbolico senza valore legale.
Il clan Di Silvio, di etnia Sinti, è un’organizzazione mafiosa radicata nel Lazio, con attività illecite documentate da anni. La storia di Giulia rivela come tali gruppi possano imporre pratiche arcaiche, come matrimoni forzati e controllo patriarcale, in contrasto con le leggi statali. La complicità delle istituzioni locali è sotto accusa: scuole, ospedali e servizi sociali non hanno segnalato la situazione, nonostante due aborti e una gravidanza a 12 anni.
Il matrimonio fu celebrato in un locale lussuoso di Latina, con 100 invitati, ma rimase ignorato dalle autorità nonostante la visibilità. Giulia, nonostante le violenze subite, ha espresso il desiderio di tornare alla famiglia Di Silvio, segno di un condizionamento psicologico profondo.
Questa storia non è un’eccezione isolata in contesti marginali, ma un campanello d’allarme su come retaggi culturali e criminalità organizzata possano eludere le garanzie giuridiche italiane. Mentre in Medio Oriente i matrimoni precoci sono spesso legali o socialmente accettati, in Italia costituiscono un crimine occulto, reso possibile da omertà e fallimenti istituzionali.
La vicenda di Giulia, oggi protetta in una casa famiglia e incinta per la quarta volta a 15 anni, dimostra che nessun Paese è immune da violazioni dei diritti umani, soprattutto quando si intrecciano povertà, ignoranza e potere mafioso.